Da: Wikipedia.it
La "Primavera di Praga", (in ceco "Pražské jaro") è stato un periodo storico di liberalizzazione avvenuto in Cecoslovacchia a partire dal 5 gennaio 1968 e durato fino al 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione dell'Unione Sovietica e dei suoi alleati del patto di Varsavia (ad eccezione della Romania) invase il paese.
La stagione delle riforme, la "Primavera di Praga", appunto, ebbe bruscamente termine nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968, quando una forza stimata fra i 200.000 e i 600.000 soldati e fra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati invase il paese. Il grosso dell'esercito cecoslovacco, forte di 11 o 12 divisioni, obbedendo ad ordini segreti del Patto di Varsavia, era stato schierato alla frontiera con l'allora Germania Ovest, per agevolare l'invasione e impedire l'arrivo di aiuti dall'occidente.
L'invasione coincise con la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, che avrebbe dovuto sancire definitivamente le riforme e sconfiggere l'ala stalinista. I comunisti cecoslovacchi, guidati da Alexander Dubček, furono costretti dal precipitare degli eventi a riunirsi clandestinamente in una fabbrica, ed effettivamente approvarono tutto il programma riformatore, ma quanto stava accadendo nel paese rese le loro deliberazioni completamente inutili. Successivamente questo congresso del partito comunista cecoslovacco venne sconfessato e formalmente cancellato dalla nuova dirigenza imposta da Mosca a governare del paese.
I paesi democratici dovettero limitarsi a proteste verbali, poiché era chiaro che il pericolo di confronto nucleare al tempo della Guerra Fredda non consentiva ai paesi occidentali di sfidare la potenza militare sovietica schierata nell'Europa centrale ed in quanto, in seguito agli accordi sottoscritti dalle potenze alleate a Yalta, la Cecoslovacchia ricadeva nell'area di influenza sovietica.
Dopo l'occupazione si verificò un'ondata di emigrazione, stimata in 70.000 persone nell'immediato e di 300.000 in totale, che interessò soprattutto cittadini di elevata qualifica professionale. Gli emigranti riuscirono in gran parte ad integrarsi senza problemi nei paesi occidentali in cui si rifugiarono.
La fine della Primavera di Praga aggravò la delusione di molti militanti di sinistra occidentali nei confronti delle teorie leniniste, e fu uno dei motivi dell'affermazione delle idee eurocomuniste in seno ai partiti comunisti occidentali.
L'invasione coincise con la celebrazione del congresso del Partito Comunista Cecoslovacco, che avrebbe dovuto sancire definitivamente le riforme e sconfiggere l'ala stalinista. I comunisti cecoslovacchi, guidati da Alexander Dubček, furono costretti dal precipitare degli eventi a riunirsi clandestinamente in una fabbrica, ed effettivamente approvarono tutto il programma riformatore, ma quanto stava accadendo nel paese rese le loro deliberazioni completamente inutili. Successivamente questo congresso del partito comunista cecoslovacco venne sconfessato e formalmente cancellato dalla nuova dirigenza imposta da Mosca a governare del paese.
I paesi democratici dovettero limitarsi a proteste verbali, poiché era chiaro che il pericolo di confronto nucleare al tempo della Guerra Fredda non consentiva ai paesi occidentali di sfidare la potenza militare sovietica schierata nell'Europa centrale ed in quanto, in seguito agli accordi sottoscritti dalle potenze alleate a Yalta, la Cecoslovacchia ricadeva nell'area di influenza sovietica.
Dopo l'occupazione si verificò un'ondata di emigrazione, stimata in 70.000 persone nell'immediato e di 300.000 in totale, che interessò soprattutto cittadini di elevata qualifica professionale. Gli emigranti riuscirono in gran parte ad integrarsi senza problemi nei paesi occidentali in cui si rifugiarono.
La fine della Primavera di Praga aggravò la delusione di molti militanti di sinistra occidentali nei confronti delle teorie leniniste, e fu uno dei motivi dell'affermazione delle idee eurocomuniste in seno ai partiti comunisti occidentali.
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